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La bulimia è un disordine alimentare caratterizzato da una patologica voracità che spinge il soggetto che ne è affetto a frequenti abbuffate di cibo. Insieme all’anoressia nervosa, la bulimia è il disordine del comportamento più comune, con un’incidenza particolarmente elevata nel sesso femminile (il 90% dei soggetti affetti da bulimia sono donne).
La bulimia nervosa si differenzia inoltre da binge eating per via delle attività “compensatorie” che seguono con regolarità le abbuffate. Il paziente affetto da bulimia nervosa, infatti, dopo aver ingurgitato grandi quantità di cibo in un lasso di tempo relativamente limitato, tenderà a fare uso di lassativi, indurrà il vomito, o farà dell’esercizio fisico per compensare lo sregolato comportamento alimentare e lenire il senso di colpa ad esso legato. La maggior parte dei pazienti bulimici, infatti, presenta un peso corporeo nella norma.
L’eziologia del disturbo bulimico non è ancora chiara. Tuttavia, questo disturbo è più comune nei soggetti con un parente stretto che sia affetto da un disturbo alimentare. Altri fattori di rischio che aumentano le probabilità di sviluppare bulimia sono stress psicologico, obesità ed uno scarso senso di autostima. In sede terapeutica, inoltre, i pazienti bulimici raccontano spesso di essere cresciuti in un ambiente familiare particolarmente attento alla dieta, con delle preoccupazioni inerenti il peso corporeo considerate eccessive.
Si stima che la bulimia interessi circa 6,5 milioni di persone in tutto il mondo. Secondo alcuni studi, una percentuale compresa tra il 2 e dil 3% fra gli individui di sesso femminile sperimenterà manifestazioni bulimiche durante la propria vita. La condizione è molto meno frequente nei paesi in via di sviluppo.
Come per altri disturbi alimentari , l’incidenza della bulimia è più alta in soggetti che appartengano a determinati gruppi sociali, come i ballerini, i ginnasti, gli attori e modelli, nonché sportivi attivi nel canottaggio, nel pattinaggio su ghiaccio, e nel nuoto. In Italia, il disturbo interessa una percentuale compresa fra lo 0,8 e l’1,2% delle giovani donne, soprattutto nella porzione meridionale del Paese. L’esordio della patologia avviene solitamente fra i 12 ed i 25 anni, con un picco fra i 16 e i 18 anni.
Come abbiamo già avuto modo di accennare nei paragrafi precedenti, l’eziologia di questo disturbo non è ancora chiara. Tuttavia, alla base dello sviluppo del disturbo bulimico sembrerebbero esserci delle predisposizioni genetiche che favoriscono lo sviluppo dei comportamenti bulimici. Alterazioni ormonali e nei livelli di neurotrasmettitori possono essere presenti in molti casi di disturbi alimentari. Nel sesso femminile, gli ormoni sessuali possono regolare i livelli d’appetito e favori l’insorgenza di questo disturbo. Diversi studi hanno inoltre evidenziato come i soggetti affetti da iperandrogenismo e sindrome dell’ovaio policistico tendano a presentare marcate fluttuazioni nei livelli dell’appetito, sperimentando periodi di craving per carboidrati e grassi.
Secondo diversi ricercatori, gli ideali di bellezza ed i canoni sempre più estremi incoraggiati dai media possono giocare un ruolo rilevante nello sviluppo dei disturbi alimentari. Particolarmente rilevante in questo senso è un sondaggio effettuato fra il 1995 ed il 1998 negli istituti scolastici superiori di Nadroga, nelle isole Figi. Nel 1995, poche settimane dopo l’introduzione della televisione, la percentuale di soggetti che riferivano di comportamenti bulimici era dello 0%. A soli tre anni di distanza, la stessa percentuale si attestava all’11,3%.
Sebbene non sia chiaro per quale motivo l’incidenza della bulimia sia marcatamente più alta nei paesi industrializzati, diverse fonti sembrerebbero concordare sul ruolo giocato dall’industria cinematografica e dai prodotti d’intrattenimento erogati dalla televisione, che propongono dei canoni di bellezza legati ad una forma fisica oltremodo magra, incentivando un desiderio di emulazione soprattutto nei soggetti di sesso femminile.
L’emissione della diagnosi di bulimia nervosa è legata a dei criteri specifici elencati nel Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, che comprende (nella fase diagnostica) anche l’esclusione di alcuni disturbi con sintomi simili, come il disturbo da alimentazione incontrollata, la sindrome di Kleine-Levin e il disturbo borderline di personalità.
I sintomi della bulimia nervosa includono un ventaglio di possibili manifestazioni, fra cui:
Uno dei tratti psicologici caratteristici dei disturbi bulimici, è il senso di colpa legato alle proprie abitudini. I soggetti affetti da questo disturbo provano vergogna per il proprio atteggiamento nei confronti del cibo, e tendono quindi a nasconderlo. Particolarmente frequente è la propensione ad “abbuffarsi” in situazioni in cui non siano presenti altri individui, arrivando anche alla pianificazione anticipata.
Solitamente, i fenomeni di abbuffata tendono a non terminare finché il soggetto non avverte un tale senso di sazietà da comportare un disagio fisico, a cui fa seguito il manifestarsi di forti sensi di colpa e dei già menzionati comportamenti compensatori. Le manifestazioni patologiche sono aggravate da stati umorali negativi, condizioni di stress, o da sentimenti di insoddisfazione relativi alla propria forma fisica.
Ulteriori manifestazioni fisiche e comportamentali del disturbo bulimico possono includere:
Nei pazienti affetti da disturbi alimentari, l’incidenza di tratti psicologici patologici risulta più elevata rispetto alla popolazione generale. La bulimia è infatti considerata un fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi del tono umorale, ansiosi, disturbi della personalità e deliri psicotici.
L’adozione delle abitudini compensatorie relative alle abbuffate possono portare alla manifestazione di una lunga lista di sintomi e conseguenze fisiche, talvolta di grave entità, come:
Se non trattato, il disturbo bulimico tende a cronicizzarsi. Le conseguenze a lungo termine della bulimia possono comprendere patologie organiche di marcata gravità, come il diabete, le coronaropatie, e patologie infiammatorie legate soprattutto al tratto esofageo. Nei pazienti bulimici che inducono il vomito per compensare le proprie abbuffate, è solitamente presente una marcata erosione dello smalto dentale, a causa degli acidi che colpiscono la dentatura durante il rigetto.
La bulimia si accompagna spesso a delle comorbidità psicologiche. I pazienti affetti da questo disturbo presentano un’incidenza più alta di disturbi affettivi (depressione, disturbo d’ansia generalizzato). Uno studio del 1985 della Columbia University condotto su soggetti bulimici di sesso femminile in cura presso l’istituto psichiatrico dello Stato di New York ha evidenziato un’incidenza dei disturbi depressivi del 70%, e dell’88% prendendo in considerazione tutti i disturbi affettivi.
Uno studio dell’ospedale Royal Children di Melbourne condotto su 2,000 soggetti in età adolescenziale ha riscontrato un rischio sei volte superiore per lo sviluppo di ansia nei soggetti che soddisfacevano almeno due criteri per la diagnosi di bulimia o anoressia nervosa. Sempre secondo lo studio, gli stessi soggetti avevano una probabilità doppia di sviluppare tossicodipendenza.
Il trattamento della bulimia ricalca in larga parte le linee guida per l’assistenza psicologica ai pazienti affetti da anoressia nervosa, eccezion fatta per il comportamento alimentare che richiede una diversa rieducazione. In ambito terapeutico, i pazienti bulimici vengono sottoposti ad un approccio multidisciplinare, in cui i confronti periodici con lo psicoterapeuta vengono accompagnati ad supervisione di un endocrinologo, di un nutrizionista, ed eventualmente di altre figure professionali che possono variare a seconda delle esigenze del soggetto.
L’assistenza e la rieducazioni psicologica si basa su un approccio cognitivo comportamentale, una forma di psicoterapia che mira ad individuare i pattern psicologi del paziente che dettano le manifestazioni comportamentali. Nei soggetti bulimici, ed in generale nei pazienti affetti da disturbo alimentare, sono comuni i disturbi dell’autostima ed una visione pessimistica del futuro e delle proprie possibilità. Sebbene i disturbi del comportamento alimentare sembrino essere legati ad una componente ereditaria, in sede terapeutica il curante mira ad individuare i meccanismi attraverso i quali il soggetto ha costruito l’idea di sé
Nei casi particolarmente resistenti, o nei soggetti affetti da un forte stato depressivo, è possibile affiancare alla terapia verbale un sostegno farmacologico. Le medicazioni d’elezione per il trattamento della bulimia e dei disturbi depressivi ad essa associati, sono gli antidepressivi, come gli Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina. Il reale effetto degli psicofarmaci rimane molto controverso. Non è chiaro se la somministrazione di antidepressivi in modalità combinata possa migliorare la prognosi nel lungo periodo.
Il trattamento dei disturbi alimentari può risultare molto complesso, e i risultati risentono di un’enorme variabilità da soggetto a soggetto. Il trattamento della patologia tende a migliorare la qualità di vita del soggetto e attenuare la sintomatologia, in circa il 50% dei casi. Tuttavia, un primo miglioramento non è garanzia di mantenimento a lungo periodo, e la bulimia nervosa può recidivare nel tempo. La prognosi nei pazienti affetti da bulimia tende a peggiorare notevolmente nel caso di comorbidità come l’abuso di alcool e droghe. La prognosi tende a non essere positiva anche nei casi in cui il soggetto presenti disturbi di personalità come il disturbo bipolare o il disturbo borderline di personalità.
Per uscire dalla bulimia in modo definitivo, ogni paziente è chiamato non solo ad lavoro certosino sulle proprie abitudini, ma anche ad un importante sforzo per il mantenimento dei risultati ottenuti nel corso del tempo. Solitamente, gli sforzi terapeutici incentrati sulle abitudini alimentari tendono a produrre dei risultati parziali e solamente temporanei. La bulimia è infatti da considerarsi un sintomo, più che una causa, e la risoluzione definitiva della sintomatologia è legata all’individuazione e alla risoluzione della cause psicologiche scatenanti, fra cui la bassa autostima e la tendenza alla svalutazione personale.
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