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Nell’era moderna, i disturbi mentali hanno assunto tratti epidemici, e la loro incidenza sembra essere in continua ascesa. E se prima erano i disturbi a carattere depressivo o ansioso a fare paura, negli ultimi 20 anni anche il numero di pazienti con una diagnosi di schizofrenia o disturbo bipolare sono aumentati sensibilmente. Sebbene il concetto di disturbo mentale cambi nel tempo, così come gli strumenti diagnostici e terapuetici a disposizione del curante, l’impatto dei disagi mentali nella società odierna è innegabile.
Ma come si arriva alla diagnosi di un disturbo mentale? Cosa cura lo psichiatra? Come può il terapeuta essere sicuro di aver individuato la giusta terapia per ogni paziente? E in quali casi ci si può aspettare una completa guarigione? E’ possibile obbligare un soggetto a sottoporsi a cure psichiatriche?
In questo articolo, andremo ad offrire una breve panoramica sui retroscena terapeutici nella cura delle malattie mentali.
Si definisce “disturbo mentale” un’ alterazione psicologica e/o comportamentale, che non fa parte del normale sviluppo psicologico del soggetto, e che si accompagni ad una sensazione di disagio. Le suddette alterazioni si manifestano per prime al paziente, nei casi in cui esse non coinvolgano una compromissione della capacità di giudizio, e se non trattate tendono ad assumere un carattere cronico gradualmente ingravescente.
Centro di trattamento dei disturbi mentali in Italia e Spagna
Sebbene il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali annoveri diverse decine di patologie, a loro volta sviscerate in centinaia di varianti con diverse manifestazioni sintomatiche e gravità, non tutti i disturbi mentali presentano la stessa incidenza. Le alterazioni psicologiche più frequenti sono quelle che si manifestano con un basso tono dell’umore ed una tendenza alla preoccupazione anche in mancanza di elementi oggettivi che giustificherebbero un tale stato di apprensione.
I disturbi depressivi ed ansiosi hanno ritagliato un importante spazio nel vocabolario quotidiano, e la loro diffusione è andata ad aumentare in un’epidemica macchia d’olio, lasciata in gran parte senza alcun trattamento.
I sintomi del disturbo depressivo tendono a manifestarsi in modo subdolo, e si rivelano molto spesso di difficile individuazione, specie nelle fasi iniziali. Tuttavia, il cambio del tono umorale nel soggetto porta gradualmente ad un abbassamento generalizzato della qualità di vita e del livello di godibilità delle attività quotidiane, che a mano a mano subiranno marcati cambiamenti.
Fra i sintomi psicologici della depressione possiamo annoverare:
Fra i sintomi tipici dell’ansia troviamo invece: un costante ed esagerato senso di preoccupazione, la sensazione di tragedia imminente, uniti ad un marcato nervosismo ed agitazione psicomotoria, che nei casi più gravi possono arrivare a dei veri e propri attacchi di panico.
Nella pratica medica è tuttavia essenziale slegare la diagnosi della sua descrizione teorica, poiché lo stesso disturbo può presentarsi in molte forme diverse ed interferire a diversi livelli nella vita del paziente.
I disturbi depressivi, così come quegli ansiosi, possono variare molto per gravità e ricorrenza, e si distinguono dalla normale tristezza e della preoccupazione per il loro carattere cronico, pervasivo, e per la capacità di interferire nella vita del soggetto, andando a comprometterne in molti casi la funzionalità a livello sociale, relazionale, fisico e lavorativo.
Un esempio di diagnosi può essere rappresentato dall’iter per la diagnosi di depressione.
Il compito del curante è quello di confrontarsi con il paziente, principalmente attraverso una serie di domande specifiche, per individuare la forma mentis ed il modus operandi del soggetto nelle varie aree della sua vita. Al terapeuta spetta il compito di sondare la mente del paziente per carpirne valori e convinzioni, e per arrivare ad una solida valutazione del suo stato mentale ed emotivo.
Per prima cosa, il curante dovrà valutare se il paziente soddisfi o meno i criteri diagnostici per la diagnosi della depressione. Nel caso della depressione maggiore, il Manuale Statistico e Diagnostico prevedere 9 diversi criteri, che devono essere presenti in un numero non inferiore a 5:
Una volta confrontati i dati raccolti con i criteri diagnostici, il curante potrà emettere la sua diagnosi, ricordando sempre che nel caso in cui i tratti psicologici e comportamentali del paziente soddisfino i criteri per più patologie, si può emettere una diagnosi multipla.
Le cure psichiatriche hanno subito enormi cambiamenti dalla nascita delle prime filosofie per la cura del benessere mentale. Se Sigmund Freud, ritenuto il padre della psicanalisi, curava le malattie mentali attraverso lunghi confronti dialettici con i suoi pazienti, nell’ambito di terapie la cui durata spesso si protraeva per diversi anni, al giorno d’oggi gli avanzamenti in ambito psicoterapeutico e farmacologico permettono di arrivare, molto spesso, ad una gestione e risoluzione dei sintomi nell’arco di poche settimane o mesi.
Una volta emessa la diagnosi, il terapeuta dovrà quindi andare a selezionare l’opzione terapeutica ritenuta più adatta.
Nei pazienti in cui lo squilibrio mentale non abbia compromesso la capacità di giudizio, è consigliabile discutere la terapia con il soggetto stesso, in modo da poter far affiorare eventuali dubbi ed incertezze per risolverli preventivamente. Alcuni fra i dubbi più comuni possono riguardare gli effetti degli psicofarmaci, la durata della terapia, o gli obiettivi della stessa.
Nei soggetti in cui lo squilibrio mentale abbia compromesso la capacità di giudizio, e interferisca con la funzionalità del paziente in modo franco, è possibile per il curante richiedere l’ospedalizzazione ed il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Spesso, il TSO è concordato insieme ai familiari o gli amici del soggetto, offrendo anche a loro un supporto psicologico durante il percorso terapeutico.
La durata del ricovero e del successivo trattamento nel caso del TSO non ha una durata standard, ma viene discussa con lo staff della struttura di accoglienza sulla base delle necessità del paziente.
Con l’espressione terapia cognitivo comportamentale si vanno ad indicare tutti gli approcci terapeutici che si basino sul dialogo ed il confronto verbale tra paziente e curante, in modo da stabilire un nesso fra gli schemi comportamentali del soggetto e i suoi schemi cognitivi.
Sebbene questo approccio si esprima in moltissime declinazioni diverse, che vanno dalla proverbiali chiaccherate a modelli terapeutici più sofisticati, come quelli basati sulle tecniche di Programmazione Neuro Linguistica, il fine è quello di:
Nel caso della depressione, il terapeuta andrà alla ricerca delle causa dell’alterazione del tono dell’umore. Sebbene i disturbi dell’umore tendano alla pervasività, ovvero ad interferire con il grado di soddisfazione e godibilità di qualsiasi attività del soggetto, capita spesso che la causa sia da ricercarsi in un ristretto insieme di convinzioni, interpretazioni, e/o strategie che il paziente mette in atto e che producono questo risultato.
Dietro la depressione c’è sempre uno stato di insoddisfazione. Nella terapia psichiatrica, è importante andare a valutare il grado di appagamento del soggetto in ogni area della sua vita. Nell’analizzare la vita professionale del proprio paziente, il terapeuta può domandarsi quale sia la situazione attuale, che cosa desideri in realtà il paziente, e quali siano le sue convinzioni sulla sua capacità di migliorare la situazione.
Nel caso in cui il paziente confessi al terapeuta di sentirsi particolarmente insoddisfatto della sua professione lavorativa per via delle modeste entrate economiche e della poca libertà che queste ultime gli consentono, il curante può invitarlo a spostare l’attenzione da ciò che provoca disagio a ciò che potrebbe migliorare il suo stato mentale, andando a sfidare alcune convinzioni.
Obiezione / Convinzione: Non posso cambiare lavoro
Possibile risposta: Cosa accadrebbe se lo facessi?
Obiezione / Convinzione: Voglio un lavoro che mi paghi di più, ma non lo otterrò mai
Possibile risposta: Quali capacità dovresti sviluppare per ottenerlo?
Aiutando il paziente a reindirizzare l’attenzione per organizzare uno sforzo che lo porti verso la situazione desiderata, si andrà indirettamente a lavorare sul suo stato mentale, portando un tangibile miglioramento.
L’EMDR (Eye Movement Desensitization Reprocessing), è uno strumento che trova largo utilizzo nel campo della psicoterapia, e in particolare nel trattamento dei traumi legati ad eventi particolari di cui il paziente abbia piena coscienza. Formulata verso la fine del anni ’80 dalla psicologa Francine Shapiro, questa metodologia è basata sull’idea che pensieri negativi, sensazioni e comportamenti siano il risultato di ricordi non processati correttamente, ed è considerata fra le terapie d’elezione per il Disturbo Post-Traumatico da Stress.
La terapia si basa sulla stimolazione oculare del paziente con movimenti ritmici oscillatori che il soggetto deve seguire con gli occhi, dopo i quali viene chiesto di ricordare le esperienze legate alle manifestazioni sintomatiche, in modo che il cervello abbia la possibilità di creare nuovi percorsi neurali per immagazzinare lo stesso ricordo, andando così a rimodulare la risposta fisiologica e diminuire il carico emotivo legato alla rievocazione dello stesso.
A seconda del grado di severità della patologia diagnosticata, il curante può consigliare al paziente di affiancare alla terapia cognitivo comportamentale e agli altri strumenti terapeutici un sostegno farmacologico. La terapia farmacologica psichiatrica si rivela non strettamente necessaria in una considerevole porzione di casi, ma viene soventemente suggerita per facilitare ed eventualmente abbreviare il percorso terapeutico.
I farmaci d’elezione variano per tipologia e dosaggio in base alla diagnosi e alla condizione del paziente. Nei casi in cui il soggetto abbia ricevuto una diagnosi di disturbo depressivo del tono umorale, l’opzione farmacologica più percorsa nella terapia psichiatrica è quella degli Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina, dei composti che vanno ad rimodulare i pattern di utilizzo della serotonina per rallentarne lo “smaltimento” nel sistema nervoso centrale ed aumentare i livelli, favorendo quindi un miglioramento del tono dell’umore. Nel caso in cui il paziente mostri sintomi di un disturbo d’ansia, si potrà fare ricorso alle benzodiazepine, una classe di farmaci che esercita un’azione depressiva generalizzata a livello encefalico, favorendo quindi la distensione ed il rilassamento. Altre tipologie di farmaci utilizzati in ambito terapeutico sono gli antipsicotici, i neurolettici e i sedativi, che possono essere utilizzati anche in combinazione fra di loro nel caso in cui il curante lo ritenga necessario.
Il corpo e la mente sono elementi interconnessi che si influenzano a vicenda. Se è vero che i disturbi psicologici possono portare all’insorgenza di sintomi fisici, come disturbi gastrointestinali e sindromi algiche, rigidità muscolare ed acufene, problemi di vista e debolezza muscolare, nella pratica medica si verifica spesso l’opposto. I livelli ormonali e dei neurotrasmettitori a livello del Sistema Nervoso Centrale possono risentire sensibilmente di alcune patologie fisiologiche, che andando ad interferire con il normale equilibrio chimico del cervello possono facilitare lo sviluppo di una sintomatologia psichiatrica.
Situazioni di infiammazione cronica (come nel caso di alcune patologie dell’apparato gastrointestinale), disturbi della tiroide, malattie autoimmuni, renali ed epatiche, ma anche patologie neurologiche (come la sclerosi multipla), possono manifestarsi a livello psicologico e comportamentale con sintomi importanti. Non è raro, ad esempio, che uno stato infiammatorio a carico del tratto digestivo possa portare ad una scarsa assimilazione dei nutrienti necessari che ingeriamo con il cibo, un cui basso livello propizia indirettamente uno squilibrio psicologico. In ambito terapeutico, è importante escludere qualsiasi patologia fisiologica nel caso in cui il paziente si dimostri particolarmente resistente alla terapia.
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