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Come si chiama la fobia dei buchi? Se te lo sei mai chiesto, stiamo parlando della tripofobia. Si tratta di una condizione che solo recentemente ha visto l’interessamento degli studiosi. Infatti, i primi studi scientifici in materia, nonché le prime pubblicazioni risalgono all’ultimo decennio (in particolare, al 2013). La fobia dei buchi può rientrare nelle fobie specifiche, anche se non è stata ancora riconosciuta ufficialmente. Tale condizione è in grado di recare enorme disagio emotivo, stati d’ansia o panico, nonché compromettere la funzionalità lavorativa o sociale del soggetto.

Continua a leggere l’articolo per scoprire cos’è la tripofobia, quali sono i possibili sintomi, le cause scatenanti e le varie opzioni di trattamento.

La tripofobia è la paura dei buchi. In particolare, i soggetti che soffrono di questo disturbo sono terrorizzati dalla visione di piccoli buchi ravvicinati e profondi, come quelli delle spugne o del favo. Tale fobia provoca nell’interessato sentimenti di disgusto e repulsione alla vista di schemi ripetitivi che presentano tanti piccoli fori ravvicinati (di qualsiasi forma essi siano).

L’esposizione allo stimolo fobico causa forte disagio ed ansia, fino a provocare, nei casi peggiori, attacchi di panico, nausea, frequenza cardiaca accelerata, mancanza di respiro, sudorazione fredda e brividi. Al momento, la tripofobia non è un disturbo riconosciuto ufficialmente dall’APA (American Psychiatric Association), motivo per cui non compare nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali).

Come abbiamo già menzionato, le persone con tripofobia hanno il terrore di vedere pattern geometrici (circolari e non) ripetitivi, ravvicinati e di una certa profondità. Le immagini che creano queste reazioni di repulsione possono essere molteplici, di cui la maggior parte di uso comune, come per esempio:

  • Spugne da bagno;
  • Formaggi con buchi;
  • Piccole bolle di sapone ravvicinate (che creano una forma geometrica simile a quella del favo);
  • Coralli;
  • Pori della pelle;
  • Soffione della doccia;
  • Fragole;
  • Tavoletta di cioccolato aerato;
  • Fori in un muro di mattoni;
  • Baccello di fiore di loto;
  • Follicoli piliferi;
  • Melograno.

Disclaimer: le informazioni fornite non sono necessariamente esaustive.

I soggetti tripofobici manifestano disagio, repulsione e senso di disgusto alla vista dei buchi. Tale avversione può sfociare in stati d’ansia o veri e propri attacchi di panico. Come nel caso di altre fobie, si tratta di una risposta anormale a livello emotivo. L’organismo, infatti, risponde allo stimolo fobico con una reazione di lotta o fuga, in quanto il soggetto interpreta il buco o ciò che ospita come una minaccia per la propria incolumità. Quindi, il corpo si attiva per garantire la propria sopravvivenza. Considerando la rara possibilità di un pericolo reale, questa eccessiva e sproporzionata risposta emotiva è un chiaro segnale della presenza di un disturbo fobico.

Oltre a quanto appena detto, i sintomi della tripofobia possono includere:

  • Palpitazioni;
  • Nausea e vomito;
  • Formicolio e prurito;
  • Sudorazione fredda;
  • Brividi e pelle d’oca;
  • Senso di svenimento;
  • Vertigini;
  • Disturbi visivi;
  • Respirazione affannosa;
  • Secchezza delle fauci;
  • Sensazione di testa vuota o leggera;
  • Tremori;
  • Intorpidimento;
  • Pianto.

Nei casi più gravi, la sintomatologia compare anche solo pensando allo stimolo fobico. Inoltre, il soggetto tripofobico potrebbe mettere in atto strategie di evitamento degli oggetti che presentano fori o delle situazioni che lo espongono alla possibile visione di buchi. Gli atteggiamenti di evitamento, alla lunga, diventano problematici, in quanto impediscono alla persona di comprendere che le suddette situazioni od oggetti non siano realmente pericolosi per la propria incolumità. Di conseguenza, il soggetto si preclude luoghi o attività per paura di star male. Ed è proprio qui che la fobia diventa invalidante, in quanto comporta disagio clinicamente significativo.

Disclaimer: le informazioni fornite non sono da considerarsi esaustive.

La causa della tripofobia non è ancora del tutto nota, a causa della scarsità di studi in materia. Infatti, il termine tripofobia deriva dal greco (“trỳpa” che significa “buco” o “perforazione” e “phóbos” che vuol dire “paura”) ed è stato coniato solo nel 2005.

Secondo i primi studi, le cause della tripofobia sembrano riconducibili a un meccanismo di sopravvivenza trasmesso con l’evoluzione. Si tratterebbe, quindi, di una reazione istintiva e primitiva nei confronti di un potenziale pericolo. In particolare, in alcuni soggetti, sembrerebbe che si attivi quella parte del cervello che segnalava ai nostri antenati la presenza di un potenziale pericolo attraverso le immagini di macchie o buchi presenti su piante e animali velenosi, da cui l’uomo doveva difendersi, come ragni, serpenti e quant’altro.

Secondo altri studi, invece, la causa della tripofobia risiederebbe nella sensazione di disgusto che la visione di buchi genera. In tal senso, la tripofobia sembra essere provocata dalla repulsione nei confronti di malattie che presentano eruzioni cutanee circolari, come il vaiolo, la rosolia, il morbillo e quant’altro. Si tratterebbe, quindi, più che di una paura dei buchi, della paura di una potenziale contaminazione, in quanto i fori simbolicamente possono rappresentare una sede di infestazione da parassiti o insetti.

Inoltre, non è da escludere che tale fobia la si possa apprendere, per esempio da un genitore che soffre del medesimo disturbo, o che la si possa sviluppare in seguito a un’esperienza traumatica.

Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per comprovare tutte le teorie appena citate.

Disclaimer: le informazioni fornite potrebbero non essere esaustive.

La tripofobia e i sentimenti di disagio, angoscia e ansia legati alla condizione possono favorire la comparsa di altri disturbi di natura psichica, come:

  • Depressione maggiore;
  • Disturbo d’ansia generalizzato;
  • Disturbo di panico;
  • Disturbo bipolare;
  • Disturbo ossessivo-compulsivo;
  • Disturbo d’ansia sociale.

Un soggetto con tripofobia non necessariamente svilupperà i disturbi sopracitati. Tuttavia, potrebbe essere a rischio qualora sottovaluti il problema e non adottasse le giuste misure per trattarlo. Per tale motivo, è indispensabile rivolgersi al proprio psicologo o psicoterapeuta.

Disclaimer: le informazioni fornite non sono necessariamente esaustive.

Attualmente, la tripofobia non è un disturbo ufficialmente riconosciuto, motivo per cui non esistono degli specifici criteri diagnostici. Nonostante ciò, però, può essere una condizione invalidante, in quanto può influenzare negativamente diverse situazioni e attività, nonché la qualità di vita dell’individuo. Per tale motivo, è necessario esporre il problema al proprio psicologo che, attraverso una serie di domande e test clinici, potrebbe arrivare alla formulazione della diagnosi di fobia specifica, nel caso in cui il paziente presenti sintomi eccessivi e persistenti, che recano disagio emotivo e compromissione funzionale.

In genere, la diagnosi di fobia specifica avviene mediante la raccolta della storia clinica del soggetto, l’identificazione dei sintomi e, se necessario, esami specifici che possano escludere altre condizioni con una sintomatologia affine. Inoltre, le persone con tripofobia possono soffrire anche di altri disturbi di salute mentale, come la depressione o il disturbo ossessivo-compulsivo. Per tale motivo, è indispensabile fare una valutazione approfondita, nonché formulare la corretta diagnosi, così da poter adeguatamente trattare il disturbo.

Di seguito, ricordiamo i criteri diagnostici delle fobie specifiche (“paura marcata e persistente o ansia riguardo a una situazione o un oggetto specifico”) esposti dal DSM-5:

  • La paura, l’ansia o l’evitamento dello stimolo fobico sono persistenti (oltre i 6 mesi) e non sono giustificati da altri disturbi mentali;
  • L’oggetto o la situazione fobica causa quasi sempre ansia o paura immediata;
  • Il soggetto riconosce che la paura o l’ansia sono sproporzionate rispetto al pericolo reale e al contesto socioculturale;
  • Lo stimolo fobico viene attivamente evitato o vissuto con estrema ansia o paura;
  • L’ansia anticipatoria, la paura o l’evitamento provocano forte disagio e interferiscono significativamente con il normale svolgimento delle attività quotidiane a livello sociale, lavorativo e di altre importanti aree di vita.

Disclaimer: le informazioni fornite non sono da considerarsi esaustive.

Così come per altre fobie specifiche, per trattare la tripofobia è necessario rivolgersi ad uno psicologo, psichiatra o psicoterapeuta. Sono diversi gli approcci utili per gestire i sintomi di queste condizioni. In particolare:

  • Terapia cognitivo-comportamentale: aiuta il paziente ad identificare i pensieri distorti e i comportamenti disfunzionali che hanno condotto allo sviluppo del disturbo, per poi trasformarli in altri più sani e adattivi.
  • Terapia espositiva o desensibilizzazione: il paziente viene esposto gradualmente e in un ambiente sicuro allo stimolo fobico e gli vengono forniti tutti gli strumenti per imparare a gestire le reazioni, i pensieri e le emozioni che la fobia scatena. Alcuni esempi di terapia espositiva includono pensare ai fattori scatenanti la paura, guardare immagini o video contenenti lo stimolo fobico e quant’altro. Al termine della terapia, il soggetto potrà trovarsi in situazioni che normalmente gli recavano paura, senza però provare disagio.
  • Tecniche di rilassamento: aiutano a calmare corpo e mente in situazioni stressanti. Alcune di esse includono:
    • Visualizzazione guidata;
    • Rilassamento muscolare progressivo;
    • Esercizi di respirazione profonda;
    • Meditazione;
    • Mindfulness;
    • Yoga.
  • Terapia farmacologica: alcuni farmaci aiutano a gestire i sintomi ansiosi o di panico legati alle fobie specifiche. In genere, vengono prescritti solo in caso di forte disagio emotivo e compromissione della funzionalità sociale o lavorativa. Alcuni dei farmaci impiegati nel trattamento delle fobie includono:
    • Antidepressivi, come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), per alleviare gli stati ansiosi;
    • Beta-bloccanti, utili per gestire i sintomi fisici dell’ansia, come la tachicardia o l’ipertensione;
    • Sedativi, come le benzodiazepine, impiegati nel trattamento a breve termine dell’ansia.

Disclaimer: le informazioni fornite potrebbero non essere esaustive.

Oltre alla psicoterapia e alla terapia farmacologica (se necessaria), esistono alcuni accorgimenti e cambiamenti nello stile di vita che promuovono il benessere psicofisico dell’individuo, nonché aiutano a tenere sotto controllo la sintomatologia ansiosa delle fobie specifiche. Tra questi, possiamo menzionare:

  • Dormire a sufficienza e avere una routine del sonno regolare;
  • Seguire una dieta varia e bilanciata, nonché ricca di nutrienti;
  • Limitare l’apporto di zuccheri, in quanto i picchi di glucosio possono essere percepiti come senso di agitazione e ansia;
  • Ridurre la caffeina e altri alimenti stimolanti, in quanto favoriscono l’irritabilità;
  • Fare esercizio fisico regolarmente, in quanto lo sport promuove il rilascio di endorfine e serotonina (che riducono gli stati ansiosi e favoriscono un senso di benessere);
  • Chiedere ad amici e familiare di aiutarti ad affrontare le tue paure;
  • Mettere in pratica nella quotidianità ciò che hai imparato durante la terapia con il tuo psicologo;
  • Concentrarti sui tuoi successi, anche i più piccoli;
  • Prendersi del tempo per sé;
  • Praticare hobby e attività divertenti o rilassanti;
  • Passare del tempo nella natura, in quanto aiuta a calmare la mente;
  • Rivolgerti a gruppo di supporto per condividere le tue preoccupazioni con persone che soffrono del medesimo disturbo.

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