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Le numerose patologie che interessano la sfera psicologica sono diventate parte integrante del vocabolario collettivo di tutte le società sviluppate. Con un numero di diagnosi in costante aumento per tutte le condizioni descritte nel Manuale Statistico e Diagnostico dei disturbi mentali, le psicopatologie hanno assunto i connotati di una vera e propria piaga sociale, non solo per l’impatto negativo sulla qualità di vita dei soggetti che ne sono affetti, ma anche per la ridotta funzionalità che spesso caratterizza i suddetti disturbi.
La sofferenza psicologica è un’esperienza complessa e sfaccettata, che spesso sembra alzare delle barriere comunicative a causa della difficoltà esperita dai soggetti nel raccontarla e nel far comprendere ad altri le proprie sensazioni. Alla base del disagio mentale possono esserci diverse motivazioni, spesso differenti anche in presenza di un’etichetta diagnostica identica, che andranno inevitabilmente sondate e trattate per arrivare alla risoluzione della patologia e del disagio associato.
Non è raro che la destabilizzazione psicologica lamentata da un individuo, affondi le proprie radici in un evento (o una serie di eventi) a forte impatto emotivo, che il soggetto non sia stato in grado di integrare adeguatamente nel suo sistema psicologico. Di fronte ad un accadimento percepito come negativo che un soggetto non riesca a processare correttamente, e che conservi il suo impatto emotivo e psicologico anche a distanza di tempo, spesso si parla di “trauma”.
In ambito psicologico, il trauma viene definito come un evento (o una serie di eventi), capace di interferire con l’equilibrio psicologico del soggetto. La connotazione “traumatica” è data dall’intensità dello stress percepito dall’individuo, causata dal fallimento totale o parziale delle strategie di coping, ovvero dei meccanismi di gestione degli input esterni ed interni atti a preservare l’omeostasi psicologica.
I traumi sono quindi ascrivibili ad una categoria di eventi che il soggetto non riesca “integrare” in maniera funzionale nel suo sistema psicologico, portando al rischio di frammentazione dell’architettura mentale precedentemente mostrata dall’individuo.
Connotazioni traumatiche possono essere esperite in diverse situazioni, solitamente a fronte di avvenimenti davanti ai quali il soggetto provi un senso marcato di impotenza e di vulnerabilità. Generalmente, le esperienze che più mettono a rischio l’organizzazione psicologica di un individuo, riguardano la sua integrità fisica (malattie, pericolo di morte reale o percepito), o elementi della realtà ai quali esso colleghi un sistema di convinzioni alla base del suo senso di sicurezza.
In ambito terapuetico, le esperienze più frequentemente descritte come “traumatiche”, riguardano situazioni di violenza (domestica, sessuale, bullismo), malattia, tortura, minaccia fisica o verbale, furti. E’ bene specificare che il trauma non è necessariamente il riflesso di un’esperienza vissuta in prima persona: assistere ad un evento a forte impatto emotivo può avere delle gravi ripercussioni sull’equilibrio psicologico del soggetto.
L’esposizione ad uno più eventi ritenuti traumatici, può manifestarsi con un ampio ventaglio di possibili sintomi. Denominatore comune fra i soggetti che hanno vissuto un’esperienza altamente destabilizzante, è la tendenza a “rivivere” l’accaduto sia da un punto di vista fisico che mentale. Una prima risposta a questo disagio può essere l’evitamento di situazioni simili a quella che ha scaturito il trauma, o il cercare un sollievo in sostanze psicotrope (come le bevande alcoliche), per tentare di lenire il disagio emotivo e psicologico.
Le situazioni scatenanti (trigger) e i sintomi, possono arrivare a causare l’instaurarsi di vere e proprie condizioni ansiogene. I soggetti traumatizzati che non siano consapevoli di propri trigger, corrono il rischio di andare incontro ad una disregolazione emotiva, manifestando quindi emozioni inappropriate in un determinato contesto solo perché in esso sono presenti elementi scatenanti di cui l’individuo non è a conoscenza. La gestione della propria emotività può diventare così difficile da causare un esaurimento emotivo, che spesso si manifesta con difficoltà di concentrazione e rallentamento cognitivo. Nel tempo, un trauma irrisolto può dare luogo a fenomeni di dissociazione, una strategia di coping inconscia che porta ad un distacco dalle proprie emozioni.
Quando i sintomi psicologici derivanti dal trauma si cronicizzano, il paziente può maturare la convinzione che un miglioramento sia impossibile. A fronte di questo convincimento, non è rara l’insorgenza di depressione e calo dell’autostima. Quando il trauma riguarda un genitore, diventa spesso difficile per quest’ultimo educare i propri figli ad un’adeguata regolazione emotiva, con ripercussioni potenzialmente importanti sul proprio sviluppo e sul proprio benessere psicofisico.
La gestione dell’evento traumatico pone il curante di fronte ad un enorme ventaglio di possibili situazioni. Se in alcuni casi il trauma non interferisce con la funzionalità dell’individuo e non va ad intaccare la sua identità, le sue convinzioni globali, o a deviare in maniera significativa le sue abitudini di vita, in altre circostanze l’evento traumatico può segnare un vero e proprio spartiacque nell’esistenza del paziente, tale da stravolgerla completamente portando l’individuo ai limiti della non funzionalità, se non addirittura ad una situazione di vera e propria invalidità.
In ambito terapeutico, il trattamento di un evento traumatico si definisce efficace nel momento in cui:
-elimina la risposta emotiva associata al ricordo dell’evento;
-restituisce all’individuo il senso di sé eliminando qualsiasi elemento di disturbo collegato al trauma
Al fine di riportare la psicologia dell’individuo ad uno stato di equilibrio produttivo ed elidere gli effetti dell’evento traumatico, è importante inquadrare correttamente il vissuto del soggetto e la sua psicologia prima dell’accadimento (o gli accadimenti) destabilizzanti, analizzando il modo in cui essi abbiano impattato sulla sua vita.
Il processo di metabolizzazione del trauma può avvenire attraverso diversi strumenti, di cui il terapeuta può avvalersi.
L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing, è uno strumento terapeutico risalente agli anni ‘80, che utilizza i movimenti oculari per favorire la metabolizzazione del trauma e la sua armonizzazione all’interno dell’architettura psicologica del paziente. A differenza della terapia cognitivo-comportamentale e di altri approcci terapeutici a carattere prettamente dialettico, che si basano sulla ristrutturazione del significato attribuito da un soggetto all’evento, l’EMDR è indicato nei casi in cui la traumaticità di un avvenimento non si annidi nell’interpretazione data dall’individuo, quanto in un dirompente impatto a livello emotivo.
L’EMDR è spesso utilizzato nella sindrome post traumatica da stress (PTSD) nei reduci di guerra, per lenire la carica emotiva associata ad alcuni eventi a forte impatto emotivo, come la visione di scene particolarmente violente che potrebbe conservare, a distanza di anni, una notevole risposta psicologica, fisica ed emotiva al loro ricordo.
In sede terapeutica, il curante che utilizza questa metodologia chiederà al paziente di rievocare il ricordo traumatico, andando al contempo a tracciare delle traiettorie specifiche con la propria mano, o tenendo un oggetto, che il paziente dovrà seguire con gli occhi.
Attraverso la ripetizione di questo meccanismo, il soggetto vedrà diminuire la risposta emotiva associata alla rievocazione del trauma, andando progressivamente a lenire, fino ad eliminare completamente, l’elemento di disturbo dalla propria quotidianità.
La terapia cognitivo comportamentale è considerata la pietra angolare nel trattamento della maggior parte dei disturbi della sfera psicologica. Basata sull’assunto secondo cui i comportamenti di un individuo sarebbero da ricondursi a determinati pattern cognitivi, questo tipo di terapia va ad isolare le manifestazioni patologiche, andando a sondare gli schemi mentali del soggetto per eliminarne i tratti disfunzionali favorendo il ritrovamento dell’equilibrio psicologico.
A differenza dell’EMDR, l’approccio cognitivista va a lenire l’impatto del trauma andando a lavorare non sulla rappresentazione mentale dello stesso, ma sul significato attribuito dal soggetto all’evento traumatico.
Nel lavorare con un paziente che abbia subito una violenza fisica, il terapeuta andrà a “sfidare” le convinzioni maturate a seguito dell’evento, secondo le quali il soggetto non avrebbe controllo sulla propria vita.
In Programmazione Neuro Linguistica, le submodalità vengono definite come il linguaggio di modifica della rappresentazione interna che il soggetto fa di ricordi e pensieri. Le submodalità vanno a definire i contorni delle nostre esperienze passate, sia quelle interpretate in maniera positiva che quelle dai contorni meno piacevoli.
Questo linguaggio di codifica può riguardare l’immagine che formiamo nella nostra mente nel momento in cui richiamamo alla memoria un determinato avvenimento, i suoni ad esso associati, o le sensazioni che proviamo all’interno del nostro corpo. Le submodalità risultano particolarmente utili nel trattamento degli eventi traumatici e nella gestione dei sintomi associati. Sebbene il connotato traumatico non sia sempre conseguente ad un singolo evento, ma possa essere legato ad una pluralità di situazioni stressanti, nella maggior parte dei casi il trauma è riconducibile ad un frangente ben determinato.
Le submodalità possono costituire un utile strumento terapeutico nella riduzione della risposta allo stimolo traumatico. Nel rievocare l’episodio destabilizzante, il paziente noterà delle submodalità probabilmente diverse rispetto a quelle in cui altri ricordi sono “codificati”. Ripensando all’evento traumatico, l’individuo potrebbe notare dei colori più scuri, dei suoni particolarmente ansiogeni, e delle sensazioni diverse rispetto a quelle che si accompagnano a ricordi di altro genere.
Il lavoro sulle submodalità può portare grande beneficio al paziente, e lenire (se non eliminare) le sensazioni di disagio e sofferenza legate al ricordo traumatico. Andando a modificare le submodalità che codificano l’evento stressante, e rendendole simili a quelle con cui il soggetto normalmente immagazzina la sua esperienza quotidiana, si andrà ad agire anche sulle sensazioni associate.
I composti psicoattivi non sono considerati la terapia d’elezione per il trattamento degli eventi traumatici. Tuttavia, la somministrazione di psicofarmaci può trovare una sua dimensione ed utilità nei frangenti in cui l’evento destabilizzante abbia portato allo sviluppo di una sintomatologia depressiva o ansiosa. E’ piuttosto comune, infatti, specie nei traumi che vadano ad intaccare l’identità del soggetto o le sue convinzioni globali, che il l’individuo possa soffrire un netto calo dell’umore o lo sviluppo di un’eccessiva preoccupazione nei confronti di ipotetici eventi traumatici che potrebbero manifestarsi.
Un morale estremamente basso o un atteggiamento oltremodo disfattista del paziente, possono complicare non di poco il compito del terapista, oltre a diminuire sensibilmente le probabilità che gli sforzi terapeutici portino ai risultati sperati. In alcune circostanze, inoltre, il curante può consigliare (parallelamente agli altri sforzi terapeutici) la somministrazione di un sostegno farmacologico nei casi in cui reputi che la sofferenza psicologica metta in pericolo la vita stessa del paziente.
I farmaci d’elezione per il trattamento dei disturbi depressivi, sono gli Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, composti farmaceutici che vanno ad intervenire sui pathway serotoninergici per aumentarne la concentrazione nel sistema nervoso centrale, favorendo un miglioramento dell’umore ed una risposta positiva del paziente al trattamento. Nel caso in cui il soggetto sia affetto da una sintomatologia ansiosa, i farmaci ansiolitici possono portare ad una mitigazione del senso di preoccupazione. Antidepressivi ed ansiolitici sono spesso utilizzati in combinazione. I tempi di risposta successivi all’assunzione di psicofarmaci possono variare sensibilmente a seconda del composto assunto. Solitamente, la somministrazione di farmaci antidepressivi richiede una finestra temporale compresa fra le 2 e le 8 settimane per portare i primi benefici, mentre per i farmaci ansiolitici la risposta può essere immediata.
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